Rischio di riqualificazione del rapporto di lavoro come lavoro subordinato in caso di lavoratore con partita IVA che presta la propria attività in via esclusiva per un solo cliente/azienda.
La questione centrale riguarda il rischio di riqualificazione del rapporto come lavoro subordinato. Secondo la Cassazione n. 2372/2017, la qualificazione del rapporto come autonomo o subordinato non può essere fondata sulla mera volontà delle parti o sulla forma contrattuale adottata, ma deve essere effettuata in base a criteri oggettivi, desumibili dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
L’elemento distintivo fondamentale è la subordinazione, definita dalla Corte d’Appello di Bari n. 980/2024 come vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Tale vincolo deve manifestarsi attraverso l’esercizio di un potere direttivo che si esplichi non in direttive di carattere generale, ma in ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa.
Nel caso di partita IVA con cliente unico, alcuni elementi che possono far presumere la natura subordinata del rapporto sono:
- Inserimento stabile nell’organizzazione aziendale
- Assoggettamento al potere direttivo e disciplinare
- Continuità della prestazione
- Esclusività del rapporto
- Assenza di rischio economico
- Utilizzo di strumenti forniti dall’azienda
Tuttavia, come chiarito dalla Corte d’Appello di Brescia n. 199/2023, non sono decisivi ai fini della qualificazione come subordinato:
– Lo svolgimento dell’attività nei locali aziendali
– La registrazione delle presenze
– Il coordinamento con l’organizzazione aziendale
– La verifica del risultato da parte del committente
La Corte d’Appello di Roma n. 987/2023 ha precisato che elementi come la variabilità degli importi percepiti, l’assenza di prova sulla periodicità dei pagamenti mensili e la proprietà personale degli strumenti di lavoro sono circostanze che depongono nel senso dell’autonomia del rapporto.
Per quanto riguarda l’aspetto normativo, l’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 prevede che si applichi la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni:
– Prevalentemente personali
– Continuative
– Le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente
Tuttavia, questa disposizione non si applica alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali.
Come evidenziato dalla Cassazione n. 27338/2023, l’onere di provare la natura subordinata del rapporto grava interamente su chi intende far accertare tale qualificazione. Gli elementi indiziari devono essere oggetto di una valutazione complessiva e globale da parte del giudice.
In conclusione, la mera circostanza di avere un solo cliente non determina automaticamente la natura subordinata del rapporto, ma richiede un’attenta valutazione complessiva delle concrete modalità di svolgimento della prestazione, con particolare attenzione all’effettiva autonomia organizzativa e all’assenza di etero-direzione.